Infermieri, la risposta di Pieralli (SNAMI) a Rescue Press
Roberto Pieralli risponde all’articolo pubblicato da Rescue Press sul tema del vincolo di esclusività e sulla valorizzazione della figura infermieristica. Con piacere diamo spazio a tutti coloro che vorranno discutere di questo tema, augurandoci che – come scritto in precedenza – alle parole seguano possibilmente i fatti.
Recentemente, sulle pagine di Rescue Press, è apparso un articolo che ha suscitato in me un misto di riflessione e divertimento. Evidentemente, le osservazioni che ho espresso qualche giorno fa sulla mia pagina professionale di Facebook hanno colto nel segno. Si è alzato un dibattito attorno al tema del miglioramento dell’ attrattività della professione infermieristica, in particolare alla luce delle proposte avanzate da De Pasquale e Raffaele Donini.
Ma facciamo un passo indietro. Il piano proposto da De Pasquale e Donini per la valorizzazione della professione infermieristica prevede, tra le altre cose, l’introduzione della laurea magistrale e di un’indennità di esclusività, il tutto regolato evidentemente a livello nazionale seppur con proposte lanciate in una campagna elettorale regionale. Un’idea apparentemente lodevole, ma c’è un dettaglio che fa vacillare tutto: la fattibilità economica e ovviamente il fatto che determinati aspetti necessitano di un costrutto normativo ed economico nazionale e non regionale. Valore dell’operazione “appena” un miliardo di euro. Questa è la cifra necessaria per realizzare il progetto, secondo le stesse dichiarazioni dei proponenti. E, considerati i tempi, non si parla di mesi ma di anni, durante i quali gli infermieri continueranno a lavorare in condizioni che definire indecenti è un eufemismo. Io ho un’idea che ritengo più realistica, e questo non contraddice lo sviluppo possibile di altri percorsi, che tuttavia necessitano di un tempo lungo che non penso possa essere atteso dato il contesto. Mentre si organizza una cosa, se ne può fare anche un’altra.
Sono stato criticato per aver posto l’accento su queste questioni nel mio post, accusato di aver sollevato problematiche di carattere nazionale, mentre la discussione sarebbe legata a livello regionale. Ma qui sorge spontanea una domanda: da quale livello vengono le proposte di De Pasquale e Donini? Non è forse la loro una visione che impatta il quadro normativo nazionale? Perché le loro proposte dovrebbero essere considerate realistiche in un contesto regionale, mentre le mie osservazioni sarebbero fuori luogo per contesto? Ai lettori l’ardua risposta…
E allora entriamo nel merito. Una parte dell’articolo di Rescue Press sembra essere in sintonia con me, per quanto riguarda la necessità di abolire il vincolo di esclusività per gli infermieri. Questo è un punto su cui tutti concordiamo. Ma poi si cerca di creare un paradosso: viene criticato il fatto che, pur sostenendo gli infermieri, mi oppongo al task shifting – quel processo di trasferimento di competenze da una professione a un’altra. Qui devo essere molto chiaro. La mia posizione non è contro gli infermieri, né contro il loro sviluppo professionale, sviluppo che tuttavia deve essere previsto dai percorsi che l’ordinamento prevede e non tramite strade quantomeno “creative”. Piuttosto, il problema del task shifting così come è stato implementato è la mancanza di un percorso serio e regolamentato, non condiviso tra le professioni e con ripercussioni concrete che, di luogo in luogo, sono distinte e talvolta totalmente inaccettabili per cittadini e operatori.
Attuare task shifting senza un’adeguata preparazione normativa e talvolta anche professionale – attraverso corsi di sette ore o con delibere regionali improvvisate – è pericoloso e contrario ai principi dell’ordinamento. Questo non è un tema da trattare con superficialità, poiché si mette a rischio non solo la qualità del servizio offerto ai cittadini, ma anche la sicurezza legale degli stessi operatori. Gli infermieri, inoltre, si sono visti caricati di nuove responsabilità, senza un adeguato riconoscimento né formativo, né economico, lasciando alcuni ammaliati da una supposta valorizzazione fatta solo di oneri e di nessun onore, anzi… Ed è proprio per questo che, parlando con tanti infermieri, emerge una grande preoccupazione. Non si tratta solo di una questione di stipendi, ma di dignità professionale reale.
Prima di mettere in atto riforme che stravolgono il sistema, bisogna costruire le basi normative. Queste devono essere seguite da percorsi formativi chiari e contratti ben strutturati. Solo così si può creare un sistema equo, che rispetti tutte le professioni coinvolte, medici, infermieri e cittadini, senza incrementare l’entropia di un sistema sanitario in fragile equilibrio. In un Paese che rispetta il principio democratico, non possiamo svegliarci la mattina e decidere di trasferire competenze da una categoria all’altra con un atto amministrativo locale e decentrato. Serve confronto tra le professioni, serve un dialogo parlamentare, serve un percorso di caduta concertato.
E qui arrivo al nodo cruciale: chi pagherà il prezzo di scelte frettolose? I cittadini, ovviamente. Perché il problema non riguarda solo gli operatori, ma chi usufruisce dei servizi. Se andiamo a smantellare il sistema dei mezzi di soccorso avanzati, che si avvalgono di un’equipe completa, per sostituirli con mezzi che non garantiscono lo stesso livello di assistenza, il danno è tutto a carico delle persone che devono essere soccorse. In alcuni territori, questo si è già verificato, con livelli di assistenza che sono stati chiamati a parole nello stesso modo, ma che sono profondamente diversi nei fatti tra un territorio e l’altro.
Da candidato politico, e da medico, ritengo che la priorità debba essere quella di garantire un servizio sanitario omogeneo su tutto il territorio. Non è accettabile che un cittadino di montagna riceva un’assistenza e un’equipe inferiore per quantità di operatori e per capacità assistenziale reale rispetto a chi vive in pianura. Ogni paziente critico ha il diritto di essere soccorso da un’equipe completa, con tutte le professionalità necessarie, mediche e infermieristiche, per rispondere al bisogno, essendo in grado solo questo tipo di equipe di erogare tutte le prestazioni raccomandate dalle linee guida scientifiche.
Alla fine, è importante ricordare che questo dibattito non è solo teorico. Le scelte che facciamo oggi influenzeranno la qualità del sistema sanitario di domani. Ed è per questo che mi oppongo fermamente a soluzioni approssimative. Non perché non ci sia spazio per il cambiamento, ma perché il cambiamento deve avvenire in modo responsabile e ponderato, mettendo sempre al centro il benessere del cittadino e la dignità professionale degli operatori, senza che sia anteposto l’ego di qualcuno al principale interesse dei cittadini bisognosi di assistenza. L’articolo di Rescue Press mi ha confermato che la strada che ho intrapreso è quella giusta. Se le mie parole hanno suscitato un tale dibattito, vuol dire che tanti altri, anche tra gli infermieri, la pensano come me, e forse alcuni questo lo temono. Continuiamo il confronto, ma facciamolo nel rispetto di chi ogni giorno si affida a noi per la propria salute.
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